L’esperienza vissuta a Lampedusa per l’emergenza migranti è stata la più forte e intensa mai provata sinora”. Non hanno dubbi Stefano, Luigi e Annamaria, giovani soccorritori e infermiera del comitato CRIMascalucia, nel definire il periodo di servizio effettuato, in settimane diverse, nell’hotspot dell’isola più a sud d’Italia.  Una porzione di terra nota al mondo, oggi, per gli sbarchi e le tragedie del mare forse ancor più che per le spiagge e i siti paradisiaci in cima alle classifiche del turismo internazionale. Due realtà immense e contrapposte: l’una richiama incanto e bellezza, l’altra invoca salvezza, grida dolore e disincanto. In mezzo c’è il vortice di emozioni che ha “travolto” i tre volontari del comitato presieduto da Alfio Guglielmino. Un universo accelerato di crescita personale, formativa, emotiva, relazionale, condiviso con tanti colleghi CRI accorsi anche dalle regioni più lontane per offrire aiuto e sostegno, regalare un sorriso.
Dal giugno 2023 è la Croce Rossa Italiana a gestire l’hotspot di Lampedusa, centro di primissima accoglienza per migranti che con centinaia di volontari e operatori dà sì accoglienza ma anche assistenza, sul piano delle prime necessità come su quello sanitario e psicologico, oltre che tramite il progetto di Restoring Family Links.
Ogni volontario CRI mette in campo il proprio bagaglio di conoscenze e competenze, acquisito sotto l’egida di quei principi che, in primo luogo, disseminano “Umanità”. Ciascun operatore porta però, in aggiunta, qualcosa di più: il proprio modo di rapportarsi, di mettersi in gioco, di donarsi, di entrare in sintonia ed empatia con quanti, una volta sulla terraferma, vedono, negli occhi e nelle braccia di chi indossa quella divisa rossa, uomini e donne di cui potersi finalmente fidare, ai quali consegnare la propria vita e quella di chi, figlio o familiare, è sopravvissuto all’inferno. 
Sulla terraferma, su quei moli, ad aspettare e ad accogliere ci sono anche Stefano, Annamaria e Luigi, e questi sono i loro racconti, proposti con generosità alla nostra riflessione, alla nostra sensibilità.

Stefano

Il servizio per l’emergenza migranti a Lampedusa  è molto dinamico e mai statico, sei sempre in movimento e ti dai continuamente da fare sia con i tuoi colleghi sia col personale dipendente CRI che è in hotspot da più tempo.
Noi volontari per lo più eravamo ospitati all’interno di appartamenti che la Croce Rossa mette a disposizione anche di  medici infermieri, dipendenti,  per via di convenzioni. 
Vere e proprie case, che condividevamo in genere in quattro, con  la possibilità anche di usufruire di servizi come la lavatrice, o di gestirci la colazione, mentre per il pranzo e la cena ci appoggiavamo a due ristoranti in convenzione.
Del comitato di Mascalucia sono stato il primo a partire per Lampedusa. Nella settimana in cui ho soggiornato lì, ho condiviso in particolare la mia esperienza con un collega di Croce Rossa Catania, e poi altri quattro colleghi provenienti due da Roma e due dall’Emilia Romagna. Ci siamo imbarcati tutti sullo stesso aereo da Catania per Lampedusa. Sono le persone con le quali ho tutt’ora contatti, ci messaggiamo, ci chiamiamo, ci scambiamo gli auguri. Perché è un rapporto che vuoi o non vuoi si crea, e se si crea veramente bene, così come è stato nel mio caso, è un rapporto bellissimo. Insieme, in quella settimana, abbiamo vissuto momenti belli oppure ci siamo sfogati, abbiamo riso o ci siamo rattristati. E’ stata comunque una delle esperienze più belle che ho fatto in vita mia, sia in Croce Rossa che non, e che consiglio a tutti di fare, così come ho detto a Luigi e ad Annamaria che sono partiti dopo di me: perché non penso che esistano esperienze formative più  “forti” di questa che la Croce Rossa o la vita ti possano offrire.
Nella settimana della mia permanenza, abbiamo soccorso oltre 250 migranti che venivano da posti diversi: dalla Libia, dall’Eritrea e altri paesi dell’Africa ma anche dalla Siria. Tante volte facevamo fatica a capire quale fosse la loro nazionalità.
La cosa che ho appreso maggiormente è quella di cercare di essere quanto più empatico possibile.  
Ho assistito a due sbarchi consecutivi il giorno dopo il mio arrivo,  uno all’una di notte e l’altro alle tre di notte. Lì capivi che tutti eravamo in quell’hotspot per lo stesso identico motivo, ovvero per l’emblema che tutti noi portiamo addosso,  quello di un’Italia che aiuta, la Croce Rossa che aiuta chi ne ha veramente bisogno. I migranti arrivavano al molo per sbarcare e avevano addosso un forte e nauseante odore di benzina, e lo si capiva  vedendo poi le condizioni in cui viaggiavano, se poi si può definire viaggio il loro. Erano condizioni veramente misere,  200 migranti stavano in un barcone che poteva portarne 50 o 60.  Quando arrivavano e toccavano la terraferma c’erano persone che si mettevano a piangere di gioia, e altre disperate perché avevano perso in navigazione la loro madre, la loro moglie, un familiare. E purtroppo mi è successo di ricevere la chiamata di uno sbarco, arrivare al molo, e vedere questi familiari che erano distrutti: una ragazza, sorella e  moglie di due migranti, non era riuscita a sopravvivere all’intero viaggio e ci aveva lasciato pochi minuti prima di arrivare al molo. Queste sono notizie forti che io inizialmente non ho messo in conto, e invece dovevo: ne ho parlato con i colleghi e ci siamo sfogati tutti, perché non sono stato solo io a essere colpito emotivamente ma tutti, perché non ci aspettavamo di vivere una situazione del genere .
Così come, sul piano opposto, non mi aspettavo un incontro tanto emozionante con una bambina e la sua famiglia.  Io sono arrivato il venerdì, il sabato sera sono arrivate le prime persone, e in attesa della nave che li facesse ripartire per un altro porto, quello di Porto Empedocle, per poi ricominciare la loro nuova vita, io ho iniziato a parlare con una bambina in inglese. Lei mi diceva che era arrivata terrorizzata perché aveva mal di mare, aveva paura e non voleva riprendere una nave pur avendo capito che era un’imbarcazione sicura  rispetto al loro barcone, e quindi io ho uscito fuori quell’empatia che manco io pensavo di avere, e mi sono relazionato con lei, ho cercato di distrarla sino a che poi si è convinta. E i genitori di questa bambina, commossi, mi hanno anche regalato come segno di ringraziamento una monetina senza valore, degli Emirati arabi, che io però porto sempre con me in ricordo di un gesto di affetto che ho apprezzato tantissimo e continuerò ad apprezzare all’infinito. 
L’emergenza Lampedusa è un’esperienza che un volontario deve fare:  ti forma emotivamente, ti fa crescere, ti lascia incisi nel cuore dei momenti che puoi dire di avere vissuto sulla tua pelle.

Annamaria

Io  ho svolto attività a Lampedusa in qualità di infermiera ma ho voluto anche dedicarmi ad altro. Mi sono data da fare in cucina, nella preparazione dei kit, nell’assistenza durante gli sbarchi e imbarchi.
Avevo già lavorato in ambito immigrazione e avevo il desiderio di fare anche altro rispetto  all’ambulatorio.
Per alcuni giorni nella settimana di turno non ci sono stati sbarchi, poi il 14 marzo sette sbarchi in un giorno, con l’arrivo di 600 migranti.
Venivano dalla Tunisia, dalla Libia. C’era una differenza sostanziale: dalla Tunisia arrivavano asciutti, con le scarpe e il telefono in mano, molto sereni. Dalla Libia l’impatto è stato più forte. Infatti sbarcavano senza scarpe, con due straccetti addosso, bambini che ancora provavano a sorridere, una bambina con un tutù che non riusciva a togliere. Ti accorgi di piccole cose. Gli sguardi sono totalmente diversi. Alla piccola abbiamo dato, insieme ad altre associazioni, bolle di sapone e un gessetto con cui ha colorato un cuore a terra.
A Lampedusa si palpava molto di più la sofferenza, rispetto all’esperienza che ho vissuto con gli sbarchi a Catania, dove i migranti arrivavano dopo diversi giorni rispetto al momento del loro recupero ed erano più sereni.
Io ho condiviso tanti momenti, compresi pranzi e  cene, con soccorritori provenienti da Lazio, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte soprattutto.
Partire da sola mi ha formata perché mi sono messa in gioco e nonostante la differenza di età con alcuni colleghi (ho fatto amicizia con alcuni 60enni), mi sono trovata molto bene.
Eravamo tutti lì per lo stesso motivo. E abbiamo potuto constatare che non aveva vinto il dio denaro per una volta nella vita, tutti eravamo lì col desiderio di fare questa esperienza “nostra” e di trarne un insegnamento.
Io sono  tornata a casa molto colpita da questa esperienza, la più bella della mia vita nonostante il mio lavoro da infermiera e nonostante io abbia già lavorato in questo campo (sono stata un anno al Cara di Mineo).
A Catania fai lo sbarco, torni a casa, ti svegli nel tuo letto e sei di nuovo fra le tue abitudini. A Lampedusa ti senti immersa in situazioni diverse.
Dell’isola di Lampedusa mi ha impressionato molto la Porta d’Europa, perché ti senti tanto vicina alle coste africane e lì pensi: cos’è che ci separa effettivamente? Perché tocco la terra da questa parte e non dall’altra? In fondo è solo acqua che ci separa. Solo l’acqua crea questi contrasti sociali e politici. Ti senti tanto fortunata e capisci che spesso dai peso a troppe cose stupide della vita.

Luigi

Io ho avuto modo di effettuare tantissime tipologie di attività. Il mio turno si svolgeva nell’arco di sei ore ma si poteva rimanere anche di più e inoltre eravamo reperibili h24 e se succedeva qualcosa ci chiamavano.
Prevalentemente preparavamo kit viaggio con cibo, merendine per quando i migranti venivano imbarcati in navi o aerei e trasferiti altrove: a Catania o Porto Empedocle con la nave, e con aerei in tutta Italia.
In periodo di mare mosso l’hotspot è andato via via a spopolarsi fino ad arrivare a tre persone. Durante le giornate trascorse lì c’è stata un’ispezione della Commissione europea, poi abbiamo avuto una decina di sbarchi, ma piccoli.
Andavamo spesso anche alla base dell’aeronautica dove preparavano kit vestiti e igiene, kit per mamme e anche per bambini, circa 500 al giorno. Spesso io davo una mano in infermeria, la principale patologia era la scabbia, ma c’erano anche le ustioni per il caldo o per la benzina, da idrocarburi. C’è stato chi nell’hotspot ha avuto crisi epilettiche.
Vivevamo un mix di emozioni, belle e brutte.
Quando c’erano gli sbarchi davamo assistenza,  offrivamo da mangiare e da bere,  porgevamo conforto e speranza.
Non tutti gli sbarchi sono andati bene, io ho dovuto trasportare due corpi in una bara.
Un gommone si è capovolto  poco prima dell’arrivo  dei soccorsi e nessuno sapeva nuotare, i sopravvissuti sono andati quasi tutti in ipotermia. Quel gommone si era perso e i migranti erano stati quattro giorni in mare a navigare a vuoto.
Una scena che mi si è presentata davanti agli occhi mi ha emozionato tantissimo: sentiamo urlare dal piano di sopra, saliamo tutti e vediamo mamme e bambini piangere. In particolare una donna buttata a terra in lacrime che era stata al telefono con la sorella, a sua volta in un barcone, ma questa a un certo punto non le ha risposto più dopo il rumore di un botto: il barcone era stato abbattuto dalla polizia libica ed erano morti tutti.
Io ho sceso tutti i bambini per distrarli e ho gonfiato i guanti come fossero palloncini.
Durante i nostri servizi ci avvalevamo dell’aiuto di un mediatore, che ci spiegava quello che accadeva. Le lingue parlate erano l’arabo, il francese, i più istruiti sapevano anche l’inglese. I migranti provenivano prevalentemente dalla Libia, dal Bangladesh.
Abbiamo anche attivato l’RFL (restoring family links) per mettere in contatto le famiglie, così come  il supporto psico-sociale per alcuni.  C’era chi chiedeva di parlare con uno psicologo dato che molti di loro erano stati imprigionati e torturati (alzavano anche la maglietta per far vedere i segni delle frustate e delle torture).
Una volta oltrepassato quel cancello, nell’hotspot,  si percepisce una sensazione strana. Entri in un mondo che non sembra neanche reale. Cose che vedi nei film e che a volte i film non raccontano neanche per quanto possono essere crudeli. Poi però basta anche solo l’abbraccio di un bambino, come quello di un piccolo che doveva essere trasportato a Bergamo,  per scaldarti il cuore.

Eugenia CRI
Angela CRI

Categorie: Salute

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